venerdì

Le voyage dans la lune


La stazione di Milano è vuota. Cammino con le mie solite gambe corte verso il vagone 10 che è l'ultimo oppure il primo, ossia quello in cui muori subito.


La parola che m'insegue stamattina è abbandono: tutto sommato non è neanche una novità visto che l'ho declinata in tutte le sue accezioni. Abbandono all'erotismo più frenetico, all'amore sbracato, ai sentimenti ultimi.

E mentre abbandono il culo sul mio posto 96, inverso al senso di marcia e puzzone, decido che prima o poi andrò a letto con qualcuno. Per liberarmi della paura dell'abbandono.


Nel momento in cui decido perentoriamente qualcosa, che ne so: "stasera mi trovo un fidanzato", oppure " di qui a due mesi smetto di piangermi addosso" o peggio " da domani smetto di bere", ecco, in questi casi fallisco terribilmente.

Io che vorrei abbracciare tutto.


Abbraccio, bacio, accarezzo, tocco con i polpastrelli le tue palpebre, sono tutta concentrata sui tuoi occhi.
Bulbi oculari abnormi, ceruli e privi di ciglia. Due palle innervate di radici rosse stanno attorno ai quei due totem d'infinito che hai senza sapere come.

Mi abbandono all'idea di te.


E ti guardo fissamente, lungamente, come mai farei fuori da questo vagone.


Sei una balena e voglio che mi mangi. Io lo so che dentro è uno schifo, che ristagni in pozzanghere di solitudine e mi cacci via dicendo che vuoi star da solo.
Mi abbanono dentro quella u che è la tua gola, sotto una maglietta che puzza di ierisera.
Voglio limarmi le ossa per avere i fianchi larghi uguale e io il culo più bello.


Poi ti addormenti e non mi dici niente. Io smetto di scrivere e guardò laggiù, in fondo in fondo le nostre valigie incustodite.

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