lunedì

Il tormento delle figure

Il numero dieci nella vita di J aveva un gran senso.
Tutto ritornava addosso e riconfermava l'ennesima cifra. Dieci le dita, dieci i comandamenti, le piaghe d’Egitto, la massima aspirazione a scuola, dieci anni di patente, dieci anni senza la verginità.

Superata quella cifra, far di conto e mantenere un comportamento retto nella vita diveniva sicuramente più complicato.
J decise che d’ora in poi avrebbe fatto molta attenzione a ciò che inseriva nella lista mentale della sua vita perché oltrepassare il punto dieci la gettava nell’angoscia.

All’età che si ritrovava decise che quella lista si sarebbe fermata lì. Semplicemente non poteva proseguire: dieci segnava il limite, la frontiera, il confino oltre il quale sarebbe passata a terre degradate, infami, pestilenziali.

Ora avrebbe aspettato quatta quatta l’arrivo di un motivo valido: quella ragione comprensibile e legittima che avrebbe giustificato l’avvio del conteggio da un nuovo paio di mani.

J, d’altra parte, pensava che i fatti importanti della vita non arrivassero casualmente occupando semplicemente gli spazi consequenziali a quelli precedenti ma invero li si doveva aspettare, ricercare in mezzo al caos, ritualizzare e celebrare. E neppure si poteva abusare di quella libertà a fare della propria vita personale ciò che se ne vuole. C’è sempre un certo decoro da rispettare e alla posizione numero dieci si rischia di sprofondare nella vergogna.

Insomma: non voleva più pensare al suo passato ordinando gli eventi in base alle relazioni e agli uomini con cui aveva vissuto quei momenti. Doveva cancellare quel mapping (scritto in età adolescenziale e poi aggiornato mentalmente) con nome e data e simbolo affianco. Marco 19/11/98 *, Samuele 29/08/99 **, Federico 4/12/99 *#, Lorenzo 7/1- 8/6/00 **#, Carlo ?, e a seguire.

Dov’ero nell’estate 2004? Ah, a Formentera con Paolo. Ma cos’è che facevo a vent’anni? Uscivo con quell’imbianchino di Bologna. E quando ho preso la patente? Stavo con Francesco anche se il primo anno di università l’ho fatto con Michele. Arrivata a dieci nomi, datati e corredati da una simbologia che li distingueva per capacità e prestanza, J non poteva proseguire nella classificazione. Si sentiva terribilmente in colpa per aver folleggiato così tanto senza aver trovato mai un punto fermo. Eppure le sue amiche andavano ad oltranza dimenticando persino i luoghi delle prime volte! In lei tutto era così nitido, così presente, quei volti stomachevoli, quel sesso così freddo…basta l’avrebbe fatta finita.

Il prossimo sarebbe stato l’Uno ed il Solo. Non l’ultimo ad essere schedato e ornato da un codice criptico sui suoi attributi, quanto più l'Incommentabile.

Ma come avrebbe reagito quando avrebbe saputo del suo passato nefasto? Se le avesse chiesto -una notte dopo avere fatto l’amore mentre ci si accarezza e ci si incastra stretti per addormentarsi vicini - quanti uomini hai avuto prima di me, cosa poteva dirgli? L’avrebbe ancora guardata con gli stessi occhi?

No. Ci sarebbe rimasto male. Gli si sarebbe irrigidito lo spigolo della diffidenza, della promiscuità, del diabolico. Doveva in qualche modo trovare un modo per reinterpretare i fatti mostrandoli sotto un’altra luce.

Beh: seguendo la tabella di marcia prefissa lui sarebbe in posizione undici. A pensarci bene è l’uno di una nuova serie. Non solo, pensò J, perché no?, posso eliminarli tutti e dieci, spazzolare quel passato di poco conto e cominciare -da lei stessa- a considerarsi al punto zero.

Questa operazione le diede molto sollievo. Si sentiva così angosciata che non riusciva a pensare ad altro, con tutti quei numeri alle spalle.

Per razionalizzare questa mossa pensò di fare una scremata con quelli per cui provava una totale e serena indifferenza, quei numeri che aveva visto di corsa, solo una notte. Allora poteva anche piacerle e pensare di tornare al numero sette.
Poi però fece questa riflessione. C’erano pochi numeri a cui sentirsi veramente legati, precisamente l’uno e il tre, mentre tutti gli altri potevano tranquillamente venire rimossi.

A quel punto lì: trovarsi in posizione due, andare tranquilla al tre e vedere il proprio terrore laggiù lontano le dava una gioia immensa. J si sentì più giovane e più felice.

In verità dopo pochi minuti si accorse della manovra meschina che aveva messo in piedi. Se era arrivata a quel punto della sua vita perché negarlo? Mentire non sarebbe servito a trafugare nulla.

Si chiese come mai fosse così angosciata dal dieci. Perché provava un tale immotivato disagio così giovane. Chiese conforto alle amiche. Chi era miseramente al tre, chi al nove, chi a ventisette (Dio ci aiuti!) chi a quindici, chi l’aveva dimenticato. Alla fine la media era alta.
Eppure non si sentiva riconoscente a chi le diceva che la gioia è a metà quando il male è comune.

Il vero problema era lui.
Lui, il magnifico bugiardo, quello che stava aspettando in qualche bar della città, perso chissà dove dentro ai suoi riccioli, al quale - lo decise lì per lì - erano riservate tutte le cose migliori ( J era orgogliosa degli sforzi per preservare molte delle sue cose intatte).

Che lui non pensasse mai di essersi innamorato di una ragazza abborracciata e indiscreta!

Prima ipotesi.

Salvare l’uno e il tre, asportare tutti gli altri. No, irreale e miserabile.
Magari eliminare i numeri immaturi, quelli scesi per sbaglio. E partire da sette.
Fattibile, ma alla fine siamo già oltre la metà, forse è già troppo verso il dieci.
Come fare allora? Tenere in considerazione solo i numeri primi? Quanti sono?
Depennare quelli extranazionali e quelli totalmente insoddisfacenti? Saremmo potuti arrivare massimo a cinque. Poteva andare.
Cinque, per una ragazza di mondo, che fa esperienze ed è indipendente può andare bene.
Cinque. Le piaceva.

Questa volta le dita di una sola mano, quale donna!

Praticante piuttosto che garbata. Virtuosa invece che mite. Caparbia allorché elegante. Intrepida ma coscienziosa.
Così J si piaceva proprio.
Non avrebbe più temuto quella domanda perché ora era pronta ad affrontarla. Sentiva d’aver trovato la sua verità. Quella verità essenziale che ogni uomo dovrebbe esigere da se stesso e abbandonare quell’affannosa rincorsa per un virtuosismo impossibile.

Bisogna conoscersi profondamente per darsi delle risposte come queste. J se le era cercate addosso lavandosi dei muschi del rimorso che ogni letto le aveva appiccicato sulla pelle.

Adesso la vedi correre euforica e un po’ sgraziata giù per le vie del centro con i sandali marroni che ritmano il suo passo spedito ma incerto. Sorride e si guarda in giro curiosa, allungando il collo nelle vetrine dei bar. Ci sono molte persone a quest’ora.
Chissà in quale sarà Lui, giacca a coste blu, jeans sdrucito, sapore di fumo.
Adesso sono come mi voglio, mi amerà sicuramente.

Scende giù, si ferma in cartoleria, compra un quaderno.

Caro diario, oggi mi sento immensamente bella. Sono una ragazza senza sensi di colpa e sto aspettando l’uomo della mia vita. Stasera uscirò e lo cercherò. Ma non avrò paura di sbagliare, non mi tratterrò dal mostrare le mie passioni, dall’amare sfrenatamente. Asseconderò i miei desideri e se Amleto non sarà, forse toccherà ad Antonio o a Cesare. Chi lo sa. Ho ancora tempo. Sono solo al cinque.

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