sabato

Resoconto lungo, brevi scambi
















Mentre tu sei di là ad istruire i nostri amici, io rimango tra il bagno e l'anticamera a misurare la potenza della tua eco che supera le due pareti, un attaccapanni pieno di stracci e i tuoi quadri che sono anche a New York.

La tua voce mi accarezza la sera, mi permette di non esserci 
e di esserci
e fare che nessuno se ne accorga.


Ti ho scelto per questo, perché sei grande e porti solo un paio di scarpe. Hai la forza di due giganti e ti asciughi le mani prima di entrare in bagno. Ti ho scelto perché era tempo che uscissi di casa a braccetto con qualcuno, per dire al fruttivendolo che anche io festeggio i Santi. 

Mentre scendi a portare fuori la spazzatura io ti guardo dalla finestra. Sei sempre in quel punto, a metà tra l'immaginazione e il caos, un poco di profilo.
I tuoi occhi sono due ami che mi sfondano la pancia e io non so bene se abbassare lo sguardo o staccarteli a morsi, ma finisce sempre che ti vengo addosso e tu, tu, tu... mi vuoi e non mi vuoi a seconda dell'umore, come quando giochiamo a volano e non sono io a darti una buona battuta, ma è il vento, la fatica e la fame.

A me interessano le giornate lunghe e tiepide di settembre, i giardini Baden Powell, lo swing e un buon bicchiere di vino la sera.  Mi piace sparire, esserci e sparire, giocare a rintintin con il tuo coso e fare che nessuno mi conosca davvero. 

M'arrampico sul tetto con un sacco nero,  ti dico vieni anche tu prima che si faccia mattino. 
Mi guardi dai tuoi oblò di gelatina, 
ah! sei così distratto e amaro in quel pijama. 
E poi sì, canti Gigiballa con l'armonica e mi rispondi che no, non salirai
sul tetto con i gatti. 

Cosa vuoi che ti dica? Funziona come quel gioco a Buenos Aires, tu appallottoli la carta e ne fai stuzzichini per gli invitati, io racconto da un piano all'altro la storia della nostra vita. 

Oh! 
Una sigaretta in tasca.

Anche una notte di nebbia ha le sue stelle.

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